Se Virgilio Villoresi continuerà a posare le pietre del suo cinema nel giusto ordine, non c’è alcun motivo per cui non possa affermarsi come un grande nome del panorama cinematografico italiano, soprattutto in quello di genere, da tempo in crisi nel nostro Paese.Con Orfeo, presentato fuori concorso all’82esima Mostra del Cinema di Venezia, il regista però lascia troppi elementi al caso, consegnandoci un grande “se”.
Orfeo, pianista visionario, si innamora di Eura, che cela un segreto e svanisce. Seguendola in un aldilà surreale, affronta enigmi e demoni nel tentativo di riportarla nel mondo dei vivi. Ci troviamo di fronte all’ennesima rielaborazione del meraviglioso mito greco di Orfeo ed Euridice, un racconto che il cinema ha più volte adattato e reinterpretato. Un esempio recente è La Chimera di Alice Rohrwacher: opera infinitamente più riuscita sul piano della magia che trasmette, seppur edulcorata rispetto al fantasy visionario di Villoresi.
Il regista sceglie una via molto particolare, costantemente orientata alla citazione di un cinema quasi archetipico, rifiutando una direzione attoriale moderna e abbracciando un’esasperazione quasi espressionista. Per questo motivo rinuncia del tutto alla presa diretta: il film è interamente doppiato, con un effetto straniante che non sempre concede allo spettatore il tempo di abituarsi. La sceneggiatura procede per frasi ad effetto pronunciate da una coralità di personaggi che, tuttavia, non hanno spazio sufficiente per definirsi davvero tali; ne risulta una confusione tale che, al termine della proiezione, la sensazione dominante è quella di non aver capito molto. In un’opera che dura appena 75 minuti, questo rappresenta un limite serio.
È chiaro, però, che l’intento di Villoresi fosse soprattutto quello di sperimentare attraverso il mezzo cinematografico. Così si passa dalla stop motion al 16mm, fino all’animazione in 2D, mentre i personaggi attraversano set costruiti in studio e palesemente artificiali. Tutti questi elementi comunicano efficacemente, ma resta la sensazione che con un budget più solido l’esperimento avrebbe potuto raggiungere risultati assai migliori.
Sono entrato in sala con aspettative molto alte: in Italia un coraggio simile è raro, e un progetto di questo tipo sarebbe estremamente necessario per ravvivare un genere praticamente scomparso dall’industria nostrana. Esperimento sì, ma non del tutto riuscito.






