Anno 2019: le grandi metropoli sono state spazzate via dopo la Terza guerra mondiale. Tokyo è teatro di scontri tra bande di motociclisti. La polizia segreta complotta per poter continuare lo sviluppo del segretissimo progetto Akira.
Un manga di 2000 pagine ed un team formato da migliaia di animatori capeggiati da Katsuhiro Otomo (stesso autore del manga) ci consegnano nel 1988 un lungometraggio di 124 minuti destinato a cambiare il mondo dell’animazione tutta: Akira.
Il film anima la storia dall’opera cartacea dello stesso regista (all’epoca incompiuta), tentando di adattare al meglio possibile un'epopea mastodontica. E' qui che Akira stupisce davvero: dove spesso gli adattamenti falliscono, il film in questione lascia sì diversi buchi di sceneggiatura che rendono un po’ difficoltosa la visione, ma mantiene intatte tutte le tematiche centrali che l’hanno reso tanto famoso, quali la paura dell’atomo, la denuncia verso i soprusi del governo, l’orrore della guerra, la crescita psicologica e la presa di coscienza dei due protagonisti. Temi e generi si mescolano, dando vita ad un fanta-action con tinte thriller iconico.
Ciò che merita attenzione è sicuramente il comparto tecnico dell'opera giapponese: stiamo parlando di un film che è animato per la maggior parte delle sue sequenze a passo uno (ovvero a 24 frame al secondo per un totale di circa 150.000 frame), tecnica dispendiosa ma che regala una fluidità senza eguali.
Oltre a ciò vanno citate anche le tantissime tinte di colore, circa 300, che rendono l’opera di Otomo una gioia per gli occhi; i serpenti che creano le luci e gli sfondi dettagliati al millimetro regalano una delle esperienze fantascientifiche più maestose e magnetiche di tutti i tempi.
Akira, insieme a Ghost in the Shell, si inserisce in quella cortissima lista di film che narrativamente e tecnicamente hanno rivoluzionato il cinema tutto, divenendo sostanzialmente pietre miliari della settima arte.
Tommaso Malguzzi
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