Beau é un uomo di mezza età che soffre di ansie e paranoie. Un giorno intraprende un viaggio per raggiungere l’abitazione della madre, lontana da casa sua. Da qui, inizierà un’odissea psichica che lo metterà a dura prova e lo porterà ad immergersi in situazioni sempre più grottesche e surreali dalle quali riuscirà a comprendere più di se stesso e della propria vita.
Beau ha paura, paura di uscire di casa, paura di affrontare un appuntamento e paura del mondo che lo circonda. Qual é la matrice della propria ipocondria, delle proprie ossessioni? Il film lascia interrogare il protagonista e allo stesso tempo lo spettatore proprio su questo.
Ari Aster riesce a far immergere sapientemente lo sguardo del pubblico in un delirio psichico che in qualche maniera smuove e tocca l’animo più intimo. Tre ore di cinema d’autore allo stato puro, un film maturo, una seduta psicanalitica che ci lascia sfiorare le metamorfosi subite dalla psiche di Beau dalla nascita in poi, ponendo il pubblico nel ruolo di una giuria con il compito di comprendere chi ha colpe e di cosa, se ne ha, da cosa sono generate e se sono giustificabili. Beau é una vittima, o forse no? Beau é colpevole nei confronti di sua madre o é semplicemente il risultato delle sue nevrosi? Il film non vuole dar risposte, o meglio, non é un puzzle da ricostruire che alla fine completa una forma unica e precisa, l’opera é lo specchio di una mente frammentata, quella di Beau, che nutre delle colpe ma allo stesso tempo cerca di scagionarsene, comprendendo la differenza tra ciò che ha vissuto e ciò che invece non ha potuto vivere, riflettendo sul proprio passato e immaginandosi allo stesso tempo una vita diversa, migliore, normale e non frutto delle ossessioni generate in lui durante la propria crescita.
Beau ha paura di una cosa in particolare alla quale non farò riferimento per non sconfinare nello spoiler. La matrice del film gira e rigira attorno ad un unico e solido concetto che é comprensibile sin dai primi minuti dell’opera. Aster riesce a riflettere sulla tematica dei rapporti interpersonali (ciò che scaturiscono, come influenzano la crescita e cosa generano in essa) con chiarezza, per quanto sia comunque complicata da comprendere. L’autore statunitense non lascia nulla al caso e i simbolismi di cui si serve risultano limpidi se si riesce ad empatizzare con il protagonista. Ovviamente ci troviamo di fronte ad un film ermetico che necessita di diverse visioni per poter essere compreso a fondo. "Beau ha paura" é un film visionario, figlio dell’impronta personalissima di Aster che riesce a fondere commedia e orrore trovando la propria forma in un delirio psichico in grado di smuovere le percezioni dello spettatore dalla base; spettatore che trovandosi totalmente immerso in un quadro grottesco e surrealista vive, insieme al protagonista stesso, un’odissea visiva e percettiva che di fatto lo porta ad uscire dalla sala con diverse domande a cui rispondere. Più che ad un’opera, ci si troverà di fronte ad un’esperienza, che va vissuta analizzata e sentita, e riserverà grandissime sorprese ed emozioni a chi, come me, si lascerà totalmente trasportare dalla pellicola, vivendo sulla propria pelle la paura stessa di Beau.
Vincent Ridolfi
Comments