Il maestro Takeshi Kitano ci regala un'altra lezione di cinema al Festival di Venezia con "Broken Rage". Un titolo che racchiude perfettamente l'essenza del film: una "rabbia spezzata", interrotta e trasformata da trovate tipiche della surreale comicità giapponese. È una pellicola atipica, asciutta nelle azioni e diretta negli intenti che vuole comunicare, come solo un regista del calibro di Kitano può realizzare, fondendo generi e stili in un modo che sfida le convenzioni tradizionali.
"Broken Rage" si distingue già dal minutaggio: 62 minuti suddivisi in due parti ben distinte. Nella prima, Kitano riprende il suo alter ego, Beat Takeshi, nei panni di un sicario intrappolato tra la polizia e la Yakuza, in una tipica atmosfera da gangster movie. Nella seconda parte, la stessa trama viene riproposta in chiave comica, con gag slapstick e situazioni parodistiche al limite del surreale, strappando una risata dopo l’altra, una vera e propria riscrittura in cui la violenza della prima metà si stempera nel grottesco. Questo esperimento dimostra come sia possibile utilizzare generi diversi per raccontare la stessa storia, esaltando la straordinaria abilità del regista nel mettere in scena gli eventi con maestria e versatilità.
Il film riesce a convogliare la violenza brutale della trilogia di "Outrage", la poesia visiva di "Hana-bi", "Sonatine", "Kikujiro", la riflessività di "Dolls" e la comicità surreale di "Takeshi's Castle". In "Broken Rage", tutte queste anime del regista coesistono finalmente in un'unica opera, dopo essere state separate per anni, portando sul grande schermo il tema del doppio di cui si fa carico la pellicola, mostrando il Kitano cinematografico e il Kitano televisivo e comico, in cui violenza e commedia, due sentimenti molto contrastanti, si intersecano, uniscono e si completano a vicenda.
Questa pellicola appare quasi come un testamento cinematografico: 33 anni di carriera condensati in un’opera che tocca tutti i temi cari a Kitano, come il suicidio, la demistificazione dell’immaginario violento della Yakuza e la derisione di alcuni rituali giapponesi profondamente rispettati. La demistificazione è evidente sin dall'inizio, citando un omicidio in stile "Outrage" che funge da prima missione per il sicario interpretato da Beat Takeshi, fino all'uso simbolico della katana di Zatoichi. È come se Kitano volesse citare tutta la sua filmografia, per poi riscriverla attraverso il filtro della commedia.
Anche "Broken Rage" è pronto ad affrontare la tematica del suicidio, ma con una svolta inaspettata: questa volta non è il personaggio di Beat Takeshi a morire, bensì l'artista stesso. Kitano getta letteralmente la maschera, mettendo in scena la morte del sé creativo, quasi a voler chiudere un capitolo importante della sua carriera. Questo gesto fa pensare che potrebbe trattarsi del suo ultimo film, una prospettiva dolorosa per i fan, ma forse è solo il segnale che il maestro è pronto a esplorare nuovi orizzonti.
Fabio Catalano
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