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Immagine del redattoreStefano Berta

Horizon: An American Saga - Kevin Costner

 
 

Dopo essere stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes qualche mese fa, approda finalmente nelle sale italiane "Horizon - An American Saga" l'ambiziosa epopea in quattro parti firmata da Kevin Costner che per l'occasione si autoproduce il film mettendo mano alle proprie finanze arrivando addirittura ad ipotecare quattro case di proprietà; investimento sul quale ha scherzato lo stesso attore/regista liquidando ironicamente la questione rispondendo "è il sogno di una vita, del resto... cosa me ne faccio di quattro case?" Genio.

Al momento sono state realizzate soltanto le prime due parti (vedremo la seconda nei cinema esattamente il 15 Agosto) mentre le ultime due, sono entrate nel vivo della produzione giusto qualche giorno fa.

Era doveroso fare questo piccolo cappello introduttivo perché di fatto parlare di "Horizon Parte Uno" risulta alquanto complicato; il film ha esordito male al botteghino e anche in termini di apprezzamento del pubblico non sembra essere stato accolto nel migliore dei modi e il motivo è presto detto.

Tralasciando il gigantesco investimento produttivo e l'ammirevole manifestazione d'amore nei confronti dell'arte che ha portato Costner alla realizzazione del prodotto che sognava di fare da una vita ben conscio di imbarcarsi in un impresa che non lo avrebbe minimamente ripagato, "Horizon" è un opera palesemente monca e parziale.

Il cineasta americano infatti, nel corso di 3 ore di durata, porta sul grande schermo una prima parte che ha come funzione unica e specifica quella di introdurre i personaggi e lo status quo di partenza, in quello che risulta essere però un lungometraggio per larga parte inconsistente e non ottimale nello svolgere il compito per cui è stato chiamato in causa.

All'interno di quello che risulta essere un progetto realizzato tecnicamente parlando con tutti i crismi, mostra terribilmente il fianco il registro narrativo che il cineasta decide di applicare alla pellicola, complice un montaggio a dir poco anarchico che funziona molto bene in alcuni frangenti e terribilmente male in altri, presentando delle storyline che quasi sicuramente convergeranno in unico punto d'arrivo ma che al momento risultano poco efficaci e trattate in maniera pressappoco superficiale (e tutto questo nel giro di 181 minuti...)

Va senz'altro riconosciuto a Costner il merito di aver avuto il coraggio di imbarcarsi in un'impresa di tale caratura, riportando in auge un sottogenere ormai caduto in disuso, ergendosi ad ultimo baluardo di una concezione cinematografica di stampo classico che sembra essersi purtroppo allontanata dai ritmi e dai gusti imposti da un mercato produttivo profondamente diverso, ma il risultato finale di questa prima parte non sembra effettivamente smuovere quanto dovrebbe.

È davvero difficile formulare un giudizio conclusivo chiaro ed adeguato; d'altronde stiamo pur sempre parlando di un primo atto di quattro, ma che a dispetto di quel che si sarebbe potuto pensare, dopo una prima ora di altissimo cinema, inizia a perdersi per strada in un concentrato di tempistiche dilatate e momenti statici che bloccano inesorabilmente una narrazione fino a quel momento accattivante e che regala una sequenza di apertura (quella dell'attacco degli indiani al villaggio) degna di tale nome.

Fatico ad essere più negativo di così; tutto sommato le tre ore scorrono senza farsi sentire poi così tanto e la sensazione di trovarsi di fronte ad un prodotto che con un pizzico di sense of wonder e una gestione pressoché immersiva dell'atmosfera in cui ruotano le vicende raccontate permane, prendendo il sopravvento su uno scheletro narrativo che viaggia però col freno a mano tirato.

La curiosità c'è, quel velo di speranza che le parti successive riescano a farci finalmente entrare nel cuore pulsante dell'opera non sono del tutto sepolte sotto terra (come lascia presagire il fantastico montaggio finale che funge da "trailer" per la parte dopo) ci auguriamo soltanto che quella di Costner, alla fine del percorso, si riveli essere un'idea ben più profonda e congeniata e non il delirio di onnipotenza di un regista che ha anteposto il proprio sogno nel cassetto alla corretta fruibilità di un prodotto fatto e finito.

Le lacrime di quell'uomo al termine della proiezione a Cannes non possono essere state versate invano e io ci voglio ancora credere!


Jackie Soprano

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