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IL NOIR COME VERTIGINE ANTE LITTERAM: FOCUS SUL FILM "I DIABOLICI"

Aggiornamento: 11 lug

 
 

Quello che andrebbe preso sul serio non ha né nome né forma. È un peso e allo stesso tempo un vuoto.”

Boileau – Narcejac, I diabolici


Chi tende continuamente “verso l'alto” deve aspettarsi prima o poi d'essere colto dalla vertigine. Che cos'è la vertigine? Paura di cadere? Ma allora perché ci prende anche su un belvedere fornito di ringhiera? La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. La vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere da cui ci difendiamo con paura.

Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere

Il noir, genere codificatissimo a tratti, è anche densissimo di sottotesti psicologici che travolgono i protagonisti, portandoli a degli estremi esistenziali, a lasciarsi andare ai propri abissi più oscuri, trasportati dal desiderio, dalle passioni, dall'avidità, da tutte quelle pulsioni inaccettabili nel mondo illuminato del vivere comune. Tra luci di taglio, bianco e nero contrastato, primi piani con filtri flou, piani fissi tensivi, il punto comune del genere è proprio quello di raccontare storie di personaggi che si lanciano nel vuoto, che cedono al fascino della vertigine che li attrae verso voragini oscure di sé stessi, che li porta a compiere atti impensabili, che li fa viaggiare attraverso ossessioni sincopate, incubi ad occhi aperti, rimpianti e, spesso destini segnati da un capolinea inevitabilmente tragico.

Nonostante questo genere sia più comunemente considerato nelle sue espressioni americane, al loro apice soprattutto durante gli anni Quaranta, il film di cui parleremo è francese: diretto da Henri Clouzot nel 1955, I diabolici è una delle massime rappresentazioni del noir, ma soprattutto di quello stato d'animo quasi gotico che porta i protagonisti in un vortice di inquietudine e trepidazione, dopo essersi lasciati andare all'attrazione vertiginosa del vuoto, del desiderio, del rischio.

Primo tratto interessante del film è che, a differenza di molti classici del genere (come, ad esempio La fiamma del peccato di Billy Wilder) , il ménage à trois, che porterà tutta la trama a dipanarsi, vede l'allearsi di due donne: Christina, ricca moglie del violento Michel Delasalle, e Nicole Horner, l'amante di quest'ultimo. La prima, direttrice debole di cuore di un collegio in cui la seconda insegna, vessata e sfruttata da un marito infedele, violento, assetato di denaro, viene dipinta come una figura angelica e devota a Dio, troppo fragile per opporsi ai soprusi continuamente subiti da Michel ed interpretata da Vera Clouzot, moglie del regista. Simone Signoret interpreta invece la volitiva Nicole, amante anch'essa abusata di Delasalle, che fraternizza con la moglie tradita e pianifica l'omicidio del loro aguzzino.

Clouzot si prende una licenza narrativa rispetto al romanzo d'origine, in cui i cospiratori erano il marito e l'amante, creando una coppia di complici sui generis rispetto ai canoni del noir: le donne sono unite più dall'insofferenza verso Michel che da una reale amicizia e sin dalla pianificazione dell'omicidio si crea tra le due una “bipolarità morale”. Christina, pia, tentennante, travolta dai conflitti morali, si interfaccia con Nicole, pratica, senza scrupoli, calcolatrice: già tra le due il regista crea uno stato tensivo che pare destinato a deflagrare e a sabotare il piano.

Sia la sequenza dell'omicidio che i successivi momenti tensivi in attesa del ritrovamento del corpo (prima annegato in una vasca da bagno, poi gettato nella piscina del collegio per far apparire la morte accidentale) vertono proprio sul contrasto tra le due donne. In attesa della scoperta del corpo e soprattutto in seguito, quando si scoprirà che il cadavere non si trova dove dovrebbe, la polarizzazione tra le due donne raggiunge gli estremi.

Ed è proprio questo aspetto ad innescare il successivo fattore tensivo: in seguito ad inspiegabili eventi che fanno pensare ad un Michel ancora vivo e vegeto, in assenza del cadavere, Christina inizia a crollare psicologicamente e fisicamente. Sono le credenze, religiose e morali, violate nell'atto omicida che franano sulla donna, aprendo una seconda lettura della trama, più gotica e fantastica: la convinzione sottocutanea che sia lo spirito del marito a perseguitarla. Fino alla rivelazione finale di un piano diabolico ordito proprio per sfruttare la malattia di Christina, da Michel e Nicole, per ucciderla e appropriarsi del suo denaro.

Qui acquista rilevanza un personaggio secondario, il poliziotto in pensione interpretato con sublime leggerezza da Charles Vanel, che dopo aver messo alle strette la protagonista, scopre i malfattori, lasciandoci però con il dubbio di aver rivelato o meno le proprie scoperte alla vittima.

Sostanzialmente, Clouzot inizia a sovrapporre situazioni tensive una sull'altra, lasciando lo spettatore all'oscuro del vero piano che porterà (forse) alla morte di Christina: infatti il regista scongiura il cliché della classica risoluzione del giallo, lasciandoci intendere che uno dei ragazzi della scuola abbia rivisto viva la direttrice.

Altro aspetto fondamentale del film è la totale assenza (esclusi titoli di testa e di coda) di colonna sonora: sono i gocciolii, i rumori di tubature, i lamenti nascosti, tutta la componente diegetica del sonoro a far percepire con maggiore realismo la pressione psicologica, il rimorso, la paura della protagonista. Anche questo aspetto si rivela moderno rispetto al cliché del noir. Non ci sono temi a far presagire lo svolgimento della trama. Abbiamo a disposizione solo il processo identificativo con la protagonista, il suo dubbio morale e ontologico su quanto avvenuto, la percezione dello squarcio emotivo con cui si trova a convivere. E di nuovo avvertiamo la vertigine, che ci fa sperare nella morte del marito, che ci fa temere il cigolio di una porta, mentre Clouzot ci trasporta in un dilemma esistenziale con la protagonista.

La leggenda narra che Alfred Hitchcock tentò di acquisire i diritti per la trasposizione di I diabolici, ma fu battuto dal regista francese per poche ore. Resta il fatto che solo tre anni dopo, Hitch diresse un altro film tratto dal racconto di Boileau-Narcejac, D'entre le morts, il capolavoro La donna che visse due volte (Vertigo). Un film che si discosta dal noir, trasportando una narrazione assai simile a quella de I diabolici ad uno schermo Vistavision, in Technicolor, con una colonna sonora meravigliosamente composta da Bernard Herrmann. Ma soprattutto, rivelando il piano criminale di cui il protagonista è vittima a metà del film, utilizza la suspence per non farci chiedere più cosa avverrà, come nel film di Clouzot, ma come reagirà James Stewart alla verità. E inventa l'effetto vertigo: una carrellata indietro combinata ad uno zoom in avanti, quasi che per decifrare le profondità dell'animo umano, servisse sia una visione d'insieme che il dettaglio di ogni palpitazione.

Sostanzialmente abbandona il noir, per creare un nuovo genere: il thriller psicologico.

Clouzot sceglie invece di raccontarci una storia che si sviluppa in modo sempre più allucinatorio, sempre più teso, fino a sciogliersi in un finale che potrebbe farci presagire qualcosa di non rivelato e di nascosto. Mira a scardinare le nostre convinzioni con un colpo di scena finale. Utilizza gli elementi del noir per dare vita ad un film di genere, ma anche ad un racconto gotico. È secco ed essenziale nel fornirci gli elementi che, come avverrà anche in Vertigo, ci faranno scivolare nelle profondità di una mente avvitata sempre più su sé stessa, dopo aver compiuto il passo che l'ha condotta verso il vuoto, ma lasciandoci senza strumenti o spiegazioni. Porta il noir ai suoi limiti, senza abbandonarlo mai del tutto, lasciando ad altri il compito di trasformarlo in qualcosa di differente, non necessariamente migliore o più significativo.

Restano storie che raccontano la nostra ossessione e attrazione per il vuoto.

Andrea Brena


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