E rieccoci qua! A nemmeno 6 mesi di distanza dall'uscita nelle sale di "Poor Things" Yorgos Lanthimos ritorna al cinema con "Kinds Of Kindness", un progetto realizzato in poco meno di due mesi intervallando le riprese di questo a quelle del titolo sopra citato, affiancato per la maggior parte dallo stesso identico cast, fatta eccezione per qualche aggiunta specifica.
Il regista greco propone allo spettatore un lungometraggio dalla durata ambiziosa (ben 2 ore e 45 minuti) raccontando tre diverse storie antologiche legate tra di loro da un fil rouge tematico impercettibile in cui lo stesso identico cast è chiamato a interpretare personaggi differenti per ogni episodio presentato.
A differenza di quello che si sarebbe potuto immaginare però (anche per via di una campagna marketing decisamente costruita ad hoc) il nuovo progetto del cineasta prende notevolmente le distanze dal suo lavoro precdente, in cui l'esigenza di far leva su un pubblico più ampio prendeva il sopravvento in termini produttivi, abbracciando uno stile registico-narrativo più asciutto e congeniale alla produzione antecedente al titolo vincitore di 4 premi Oscar, in cui si fa largo un linguaggio autoriale più ermetico e straniante.
"Kind Of Kindness" è difatto uno spaccato sulla natura umana, un oculato esercizio di stile che si propone di riflettere su tematiche legate a concetti come la dominanza, l'abuso e i rapporti di forza; ognuna delle storie raccontate infatti procede si in modo autonomo , ma delinea al tempo stesso in sordina un discorso contenutistico malleato alle esigenze narrative dell'episodio di riferimento, in un orgia consequenziale in cui si alternano elementi macabri, grotteschi e sessuali dalle connotazioni profondamente disturbanti.
Non c'è spazio per l'assoluzione: il lieto fine è una concezione avversa e non concepita anche laddove gli atti di gentilezza suggeriti dal titolo provano ad aprire uno squarcio con l'obiettivo di fare da collante tra una condizione umanistica nociva e un punto di arrivo più ottimista destinato però a non concretizzarsi mai per davvero, in quella che potremmo definire una visione nichilista del mondo dove anche la parte di noi più empatica e altruista è destinata a dissolversi in un nulla di fatto.
Ogni comportamento messo in atto dai diversi personaggi che si sostituiscono agli altri all'interno dei tre racconti differenti è legato tra di loro dall'esigenza di questi ultimi di trovare un proprio posto all'interno della società, conciliando le proprie esigenze personali a quelle collettive e che si concretizza attraverso una rete di rapporti in cui il desiderio di affermazione prende il sopravvento materializzandosi in una scala gerarchica in cui prevale la legge del più forte; non è un caso che il tema dell'abuso sia quello su cui Lanthimos decide di porre maggiormente la propria lente d'ingrandimento, facendo leva su discorsi e atteggiamenti spaventosamente attuali.
In tutto questo anche la regia del nostro subisce un notevole ridimensionamento, adottando una cifra stilistica meno anarchica, meno movimentata rispetto a quella a cui ci aveva abituato con "Poor Things!" in favore di una in cui la macchina fissa e un impostazione grafica che predilige le geometrie si impone nell'economia di un prodotto filmico profondamente assettico e glaciale, scolorito e pessimista.
In conclusione "Kinds Of Kindness" svolge egregiamente il proprio dovere, offrendo in mano allo spettatore un insieme di elementi apparentemente illeggibili, ma che una volta compresi si pentirà di essere stato in grado di decifrare, facendo i conti con una realtà di fatto che viaggia in antitesi con una prospettiva di un futuro più consolante.
Scordatevi la redenzione, scordatevi l'affermazione del proprio io, nel mondo disegnato da "Kinds Of Kindness" non c'è posto per Bella Baxter ma per Duncan Wedderburn...probabilmente si. La domanda è una sola: quanti di noi sono disposti ad accettarlo? Ai posteri l'ardua sentenza.
Jackie Soprano
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