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The Line - Ethan Berger


 


 

Portato in anteprima italiana e in concorso al NOAM Film Festival di Faenza, The Line è un thriller del regista Ethan Berger, il quale, dopo una gestazione durata anni, è riuscito finalmente a produrre questo film, completamente indipendente ma con budget relativamente alto ed un cast abbastanza rinomato: Alex Wolff. Halle Bailey, l’ultima apparizione di Angus Cloud e un cameo di John Malkovic, insomma, nomi abbastanza altisonanti.


Tom, un ragazzo al secondo anno del college, decide di entrare in una confraternita, credendo che ciò possa offrirgli nuove opportunità e garantirgli un elevato status sociale. La situazione sembra molto promettente, soprattutto quando viene scelto dal presidente come suo potenziale successore. Quando però una compagna di classe al di fuori della sua cerchia sociale entra nella sua vita, la devozione di Tom nei confronti della confraternita comincia a vacillare.


Berger sin dal primo minuto sceglie con saggezza le parole da usare nella sua sceneggiatura, cosicchè il film possa arrivare soprattutto ad un certo tipo di pubblico, quello dei giovani adulti: sia chiaro, l’elemento thriller è fondante della trama ed è facilmente capibile da chiunque, ma i comportamenti che la pellicola porta in analisi sono tipici appunto di un certo tipo di casta sociale e di una precisa fascia d’età; Tom è abbastanza adulto per poter pagare le conseguenze delle sue azioni, ma non abbastanza per capire che ciò che sta facendo sia profondamente marcio e sbagliato. Sarà il personaggio di Annabelle, unico elemento femminile, a risvegliare la coscienza del ragazzo, che sembra essere genuinamente cambiato dopo il loro incontro.

È un peccato però che una sceneggiatura così funzionante si spenga proprio sul finale, il quale riassume tutto il discorso sul nonnismo e sul rapporto di potere ma che è profondamente anticlimatico, spegnendo la carica emotiva che l’opera aveva avuto sino a quel momento.


The Line però non sarebbe il film che è senza la sua estetica, molto ispirata a tutto quel filone di opere thriller prodotte dalla A24: una leggera grana in stile pellicola e una fotografia scura ma realistica fanno da contorno ad un staging magistrale, che in più di un’occasione rende alcune inquadrature affascinanti e soprattutto perfettamente funzionanti. Il problema è che oltre ad alcune scene veramente memorabili il film alla fin fine è molto dimenticabile, proprio per questo stile che ha adottato e che ultimamente sembra diventare di riferimento per questa fascia di produzioni: è un peccato perchè sembra quasi si sia persa una possibilità di realizzare un grandissimo film, che alla fin fine è solo una normale pellicola.


Tommaso Malguzzi

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