È possibile umanizzare un mito? Questo è l’obiettivo di Uberto Pasolini nel suo film The Return, un libero adattamento degli ultimi atti dell’Odissea, in cui viene presentato un Ulisse profondamente segnato dal tempo. In questa rilettura, Ulisse approda a Itaca, ma non più come l’eroe glorioso del poema classico. Qui è un uomo stanco, malato, che deve affrontare il compito di rivendicare il suo trono e uccidere i pretendenti alla mano della moglie Penelope.
Il nucleo del film sta nella decostruzione del mito omerico, con un Ulisse privato del pathos che lo ha sempre circondato. Quello che emerge è un Odisseo fragile, disorientato, che non riconosce più Itaca come casa, segnato irrimediabilmente dalla guerra e dal tempo. Il film esplora l’alienazione e la disillusione dell’eroe, offrendo una riflessione su quanto può cambiare la percezione di sé e del mondo con il passare degli anni.
Le interpretazioni sono il punto di forza di The Return, con una Juliette Binoche misurata e incisiva, e una performance fisicamente intensa di Ralph Fiennes, che dà corpo e anima a un Ulisse sfibrato. Tuttavia, il film non è privo di difetti: la scrittura appare talvolta incerta, con la decanonizzazione dei personaggi classici che sembra lasciarli sospesi tra mito e realtà, senza riuscire a radicarli completamente in nessuna delle due dimensioni. Inoltre, il ritmo della prima metà risulta eccessivamente verboso e dilatato.
Nonostante queste debolezze, la fotografia e la regia di Pasolini, già apprezzato per Still Life (2013) e Nowhere Special (2020), regalano momenti di grande bellezza visiva. La sua mano ferma conferisce alla pellicola un tono personale e intimo, rendendo The Return una trasposizione interessante, seppur non priva di imperfezioni, di un mito eterno come quello di Ulisse.
Marco Panichella
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