Gli Stati Uniti sono preda di un misterioso morbo che trasforma i morti in creature affamate di carne umana, gli zombie. Peter, Roger, Stephen e Jane, quattro sopravvissuti, cercheranno di sfuggire a questa vera e propria invasione rifugiandosi in un megastore abbandonato.
Secondo capitolo della celeberrima trilogia di Romero sugli zombie, "Dawn of the Dead", la pellicola si presenta come una spietata critica alla società moderna. Il vero orrore, infatti, appare essere il capitalismo stesso: i morti viventi siamo infatti noi stessi consumatori, divorati dal demone dell'avidità e dalla necessità di possedere ed accumulare quanti più beni materiali possibili. Tale allegoria è sapientemente messa in scena tramite il prepotente utilizzo di un supermercato come principale luogo di svolgimento delle vicende del film. I morti, in questo capitolo della saga, assumono comportamenti al limite del grottesco, che vanno ben oltre la consueta fame di carne umana: essi, infatti, sembrano ricordare e scimmiottare le azioni che compievano da vivi. Se nel primo capitolo gli zombie romeriani fungevano, dunque, da strumento di critica nei confronti delle guerre perpetrate dagli Stati Uniti (in particolare quella in Vietnam), in questo caso la furia iconoclasta del regista si rivolge a quella che è la patologia globale più diffusa: la smania consumista, che divora l'individuo e la società. L'umanità è sempre più disumanizzata, preda di famelici istinti al limite del cannibale e di pulsioni tremendamente umane: sorge spontaneo allo spettatore, quindi, chiedersi cosa voglia dire il termine umanità e quali siano, ad oggi, nell'alba dei morti viventi, le vere sembianze che essa assume.
Roberto Vitacolonna
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