Blog



Mother – Teona Strugar Mitevska

È bastato un primo piano, una schitarrata e un titolo a caratteri cubitali per catapultarmi nel Festival del Cinema di Venezia, giunto alla sua 82ª edizione: perché sì, Mother di Teona Strugar Mitevska, film d’apertura del festival, è un accordo di chitarra elettrica che irrompe con forza nella silenziosa Sala Darsena, prima di trascinarci dentro a un film confusissimo (ma magnetico) su Madre Teresa.

Siamo a Calcutta, nell’agosto del 1948, quando Teresa (un’allucinata Noomi Rapace) allora Madre Superiora del convento delle Suore di Loreto, attende una lettera di approvazione dal Vaticano: un documento che le consentirà di svincolarsi dagli obblighi morali e disciplinari dell’ordine, per poter poi fondare la propria congregazione. Ma proprio in quei momenti si troverà di fronte a un dilemma morale capace di insinuare dubbi profondi e sollevare grandi domande.

Presentato nella sezione Orizzonti, Mother ci mette di fronte a una vera e propria disamina del dubbio che tormentava Madre Teresa di Calcutta nei giorni precedenti alla fondazione del suo ordine, con il quale avrebbe poi salvato milioni di vite. Va chiarito subito un punto fondamentale: non si tratta di un biopic classico, anzi, per essere pignoli non si tratta affatto di un biopic; di per sé il film è concepito come un vero e proprio flusso di coscienza della regista, che riversa nella sua opera il bisogno di affrontare tematiche scomode, senza però spingersi mai fino a risposte estremamente pungenti o radicali. Questa struttura così discontinua e poco coesa può risultare a tratti un difetto, pur restando comunque apprezzabile (come lo è stato per il sottoscritto).

Nonostante questa dicotomia, rimane il fatto che il personaggio è reale e che le sue posizioni sulla tematica centrale del film, l’aborto, sono note e piuttosto scomode. Per questo l’opera non osa mai davvero: non dà risposte, ma mette in scena uomini e donne che si interrogano su cosa sia giusto e cosa sbagliato, e su chi abbia l’autorità di stabilirlo. In questo senso, il film indaga in modo interessante anche il significato dell’essere madre: Teresa è Madre Superiora, quindi simbolicamente madre di tutti i bisognosi, ma al tempo stesso è assillata dai dubbi legati alla maternità biologica. Eppure anche qui l’opera non si sbilancia, lascia aperti gli interrogativi senza mai fornire una risposta, come se esistesse un obbligo morale a non farlo. Chissà.

Della pellicola resta però impressa la sua forte identità visiva e, soprattutto, sonora: Mitevska muove costantemente la macchina da presa e la ghiera del fuoco per restituire l’immagine di un’India, o meglio, della vita di Teresa, in tumulto e in continuo movimento, mentre la camera si fa immobile in splendidi quadri ogni volta che la suora è chiamata al rigore o si trova di fronte a una figura che rappresenta, in qualche modo, un’autorità (verso cui è attratta ma che deve respingere). Il sonoro è raffinatissimo, estremamente misurato e al tempo stesso sorprendentemente esplosivo: menzione d’onore a una colonna musicale costruita per contrasti, fatta di chitarre elettriche e di sonorità dal forte impianto prog e metal, a mio avviso assolutamente azzeccata.

Mother è un film che non si lascia a facili risposte né a convenzioni: resta sospeso tra tensione morale e bellezza visiva, tra il tumulto della vita e la rigidità del dovere, lasciando allo spettatore il compito di interrogarsi e di darsi una risposta tramite il suo bagaglio culturale. È un’opera che colpisce non solo per quello che mostra, ma per come lo fa: con sguardo attento, macchina da presa mobile e suono che esplode quando meno te lo aspetti. Un ritratto di Teresa che non pretende di spiegare, ma di far sentire. Potente, inquietante per quanto estremamente disunito.

È bastato un primo piano, una schitarrata e un titolo a caratteri cubitali per catapultarmi nel Festival del Cinema di Venezia, giunto alla sua 82ª edizione: perché sì, Mother di Teona Strugar Mitevska, film d’apertura del festival, è un accordo di chitarra elettrica che irrompe con forza nella silenziosa Sala Darsena, prima di trascinarci dentro a un film confusissimo (ma magnetico) su Madre Teresa.

Siamo a Calcutta, nell’agosto del 1948, quando Teresa (un’allucinata Noomi Rapace) allora Madre Superiora del convento delle Suore di Loreto, attende una lettera di approvazione dal Vaticano: un documento che le consentirà di svincolarsi dagli obblighi morali e disciplinari dell’ordine, per poter poi fondare la propria congregazione. Ma proprio in quei momenti si troverà di fronte a un dilemma morale capace di insinuare dubbi profondi e sollevare grandi domande.

Presentato nella sezione Orizzonti, Mother ci mette di fronte a una vera e propria disamina del dubbio che tormentava Madre Teresa di Calcutta nei giorni precedenti alla fondazione del suo ordine, con il quale avrebbe poi salvato milioni di vite. Va chiarito subito un punto fondamentale: non si tratta di un biopic classico, anzi, per essere pignoli non si tratta affatto di un biopic; di per sé il film è concepito come un vero e proprio flusso di coscienza della regista, che riversa nella sua opera il bisogno di affrontare tematiche scomode, senza però spingersi mai fino a risposte estremamente pungenti o radicali. Questa struttura così discontinua e poco coesa può risultare a tratti un difetto, pur restando comunque apprezzabile (come lo è stato per il sottoscritto).

Nonostante questa dicotomia, rimane il fatto che il personaggio è reale e che le sue posizioni sulla tematica centrale del film, l’aborto, sono note e piuttosto scomode. Per questo l’opera non osa mai davvero: non dà risposte, ma mette in scena uomini e donne che si interrogano su cosa sia giusto e cosa sbagliato, e su chi abbia l’autorità di stabilirlo. In questo senso, il film indaga in modo interessante anche il significato dell’essere madre: Teresa è Madre Superiora, quindi simbolicamente madre di tutti i bisognosi, ma al tempo stesso è assillata dai dubbi legati alla maternità biologica. Eppure anche qui l’opera non si sbilancia, lascia aperti gli interrogativi senza mai fornire una risposta, come se esistesse un obbligo morale a non farlo. Chissà.

Della pellicola resta però impressa la sua forte identità visiva e, soprattutto, sonora: Mitevska muove costantemente la macchina da presa e la ghiera del fuoco per restituire l’immagine di un’India, o meglio, della vita di Teresa, in tumulto e in continuo movimento, mentre la camera si fa immobile in splendidi quadri ogni volta che la suora è chiamata al rigore o si trova di fronte a una figura che rappresenta, in qualche modo, un’autorità (verso cui è attratta ma che deve respingere). Il sonoro è raffinatissimo, estremamente misurato e al tempo stesso sorprendentemente esplosivo: menzione d’onore a una colonna musicale costruita per contrasti, fatta di chitarre elettriche e di sonorità dal forte impianto prog e metal, a mio avviso assolutamente azzeccata.

Mother è un film che non si lascia a facili risposte né a convenzioni: resta sospeso tra tensione morale e bellezza visiva, tra il tumulto della vita e la rigidità del dovere, lasciando allo spettatore il compito di interrogarsi e di darsi una risposta tramite il suo bagaglio culturale. È un’opera che colpisce non solo per quello che mostra, ma per come lo fa: con sguardo attento, macchina da presa mobile e suono che esplode quando meno te lo aspetti. Un ritratto di Teresa che non pretende di spiegare, ma di far sentire. Potente, inquietante per quanto estremamente disunito.


Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.

Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.


Post suggeriti