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No Other Choice – Park Chan-wook

In concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia, Park Chan-wook torna al Lido con una pellicola che, a tratti, sembra non appartenergli: un’opera diversa dal tono fortemente hitchcockiano con cui lo avevamo lasciato due anni fa, sempre al Lido, con Decision to Leave. No Other Choice è una dark comedy brillante, che sfrutta immagini e suoni per raccontare, con la sua consueta maestria, una storia dal taglio thriller.

Licenziato dopo venticinque anni dalla cartiera in cui lavora, Man-su affronta fallimenti e umiliazioni pur di riconquistare la propria dignità e restituire stabilità alla famiglia. Con questo film Park Chan-wook abbandona del tutto i registri che lo hanno reso celebre: sceglie infatti un tono ironico, intriso della sua consueta vena dark, ma declinato in chiave comica, capace di strappare allo spettatore un sorriso amaro. Il confronto viene spontaneo: questo modo di fare cinema richiama inevitabilmente quello di Bong Joon-ho, maestro nel muoversi con naturalezza all’interno di questa dicotomia.

Park sembra voler affrontare molti temi in questo film, tanto che risulta incerto se le sue critiche siano rivolte al ceto medio arricchito oppure, più semplicemente, alla società che abbandona il proletariato, costretto a trovare soluzioni di fortuna per sopravvivere in una condizione di precarietà. Nel primo caso, ci troveremmo di fronte a un’opera che mette in discussione il comportamento di Man-su, incapace di accettare la perdita di dignità legata a un anno trascorso in lavori che non lo rappresentano. Nel secondo, invece, assisteremmo a un classico racconto in cui la società viene rappresentata come spietata e il protagonista diventa un antieroe, spinto a cedere ai propri impulsi più oscuri pur di andare avanti.
O, più semplicemente, si tratta di un film che affronta entrambe le dimensioni, con cui Park sceglie di criticare entrambe le parti.

Nonostante ciò, il film si dimostra ben costruito sul piano della scrittura: i personaggi principali sono delineati con precisione e seguono uno sviluppo coerente con il messaggio che Park intende trasmettere. Man-su, infatti, riesce a tornare a lavorare nella cartiera, ma a costo di perdere il proprio orientamento morale, trasformandosi in uno schiavo del sistema prima, e un assassino poi. Nel finale appare soddisfatto non tanto per il lavoro in sé, quanto per il semplice fatto di avere un’occupazione: ciò suggerisce che la sua gioia derivi più dal recupero dello status sociale che dal piacere di svolgere la professione, a differenza di quanto accadeva all’inizio della pellicola.

Dal punto di vista visivo e sonoro sarebbe quasi superfluo sottolineare che il film è un gioiello, ma vale la pena soffermarsi su un dettaglio ricorrente nella filmografia di Park Chan-wook e qui particolarmente riuscito: la scelta della musica non originale. Park affida questo compito a un collaboratore di lunga data, Kim Suk-won, fidato sound supervisor che lo accompagna fin dagli esordi e che ha contribuito a definire una cifra distintiva del suo cinema. In alcune sequenze, ad esempio, l’intera resa della scena è costruita intorno a un impianto stereo che diffonde a volume altissimo un brano selezionato da Suk-won: un vero e proprio gioiello.

Per tirare le fila di questa ultima fatica del maestro coreano, No Other Choice si conferma un film diverso dal solito, forse leggermente sottotono rispetto a dove ci eravamo lasciati l’ultima volta. Rimane comunque un’opera di grande qualità, divertente e coinvolgente, piena delle mille trovate di regia tipiche di Park Chan-wook.

In concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia, Park Chan-wook torna al Lido con una pellicola che, a tratti, sembra non appartenergli: un’opera diversa dal tono fortemente hitchcockiano con cui lo avevamo lasciato due anni fa, sempre al Lido, con Decision to Leave. No Other Choice è una dark comedy brillante, che sfrutta immagini e suoni per raccontare, con la sua consueta maestria, una storia dal taglio thriller.

Licenziato dopo venticinque anni dalla cartiera in cui lavora, Man-su affronta fallimenti e umiliazioni pur di riconquistare la propria dignità e restituire stabilità alla famiglia. Con questo film Park Chan-wook abbandona del tutto i registri che lo hanno reso celebre: sceglie infatti un tono ironico, intriso della sua consueta vena dark, ma declinato in chiave comica, capace di strappare allo spettatore un sorriso amaro. Il confronto viene spontaneo: questo modo di fare cinema richiama inevitabilmente quello di Bong Joon-ho, maestro nel muoversi con naturalezza all’interno di questa dicotomia.

Park sembra voler affrontare molti temi in questo film, tanto che risulta incerto se le sue critiche siano rivolte al ceto medio arricchito oppure, più semplicemente, alla società che abbandona il proletariato, costretto a trovare soluzioni di fortuna per sopravvivere in una condizione di precarietà. Nel primo caso, ci troveremmo di fronte a un’opera che mette in discussione il comportamento di Man-su, incapace di accettare la perdita di dignità legata a un anno trascorso in lavori che non lo rappresentano. Nel secondo, invece, assisteremmo a un classico racconto in cui la società viene rappresentata come spietata e il protagonista diventa un antieroe, spinto a cedere ai propri impulsi più oscuri pur di andare avanti.
O, più semplicemente, si tratta di un film che affronta entrambe le dimensioni, con cui Park sceglie di criticare entrambe le parti.

Nonostante ciò, il film si dimostra ben costruito sul piano della scrittura: i personaggi principali sono delineati con precisione e seguono uno sviluppo coerente con il messaggio che Park intende trasmettere. Man-su, infatti, riesce a tornare a lavorare nella cartiera, ma a costo di perdere il proprio orientamento morale, trasformandosi in uno schiavo del sistema prima, e un assassino poi. Nel finale appare soddisfatto non tanto per il lavoro in sé, quanto per il semplice fatto di avere un’occupazione: ciò suggerisce che la sua gioia derivi più dal recupero dello status sociale che dal piacere di svolgere la professione, a differenza di quanto accadeva all’inizio della pellicola.

Dal punto di vista visivo e sonoro sarebbe quasi superfluo sottolineare che il film è un gioiello, ma vale la pena soffermarsi su un dettaglio ricorrente nella filmografia di Park Chan-wook e qui particolarmente riuscito: la scelta della musica non originale. Park affida questo compito a un collaboratore di lunga data, Kim Suk-won, fidato sound supervisor che lo accompagna fin dagli esordi e che ha contribuito a definire una cifra distintiva del suo cinema. In alcune sequenze, ad esempio, l’intera resa della scena è costruita intorno a un impianto stereo che diffonde a volume altissimo un brano selezionato da Suk-won: un vero e proprio gioiello.

Per tirare le fila di questa ultima fatica del maestro coreano, No Other Choice si conferma un film diverso dal solito, forse leggermente sottotono rispetto a dove ci eravamo lasciati l’ultima volta. Rimane comunque un’opera di grande qualità, divertente e coinvolgente, piena delle mille trovate di regia tipiche di Park Chan-wook.


Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.

Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.


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