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Hiedra – Ana Cristina Barragán

Film ambiguo quello della regista ecuadoriana Ana Cristina Barragán: Hiedra (The Ivy, L’Edera) è una pellicola che, sin dai primi minuti, espone chiaramente le proprie armi, senza celarsi ma anzi gridando al mondo le proprie scelte formali. Dai primi piani sfocatissimi ai dialoghi criptici, il film, in concorso nella sezione Orizzonti dell’82esima Mostra del Cinema di Venezia, restituisce però ben poco, trascinando lo spettatore verso una visione che sfiora il fastidioso.

Azucena, trentenne segnata da un trauma, osserva i ragazzi di una casa famiglia. Tra ferite e legami, si avvicina a Julio, diciassettenne con cui instaura un rapporto ambiguo e incerto.

La narrazione si struttura come un thriller drammatico in cui la regista concentra l’attenzione sul passato di lei e sul presente di lui, tentando di intrecciarli per generare pathos. Il passato di Azucena, infatti, diventa essenziale per comprendere il suo atteggiamento distaccato dalla realtà, tanto da trovare vitalità soltanto in mezzo a ragazzi molto più giovani.

Con Julio instaura un legame peculiare, per lungo tempo volutamente ambiguo: per circa mezz’ora (su novanta complessive) sembra quasi cercare una relazione amorosa con il minorenne, anche se indizi disseminati nella trama lasciano spazio a interpretazioni differenti. Questo elemento rappresenta il punto più stimolante della sceneggiatura.

Tuttavia, i dialoghi risultano rigidi e artificiosi, forse per la scrittura, forse per l’interpretazione, dato che, a parte l’attrice protagonista, il cast non è composto da professionisti. Ne emerge un intreccio di battute che comunica ben poco.

A rendere l’esperienza ancora più snervante è la scelta registica: le inquadrature insistono ossessivamente su primissimi piani e mezzi busti con sfondi sfocati, traducendo visivamente spazi angusti e rapporti mancati. L’intento è chiaro, ma la ripetitività diventa presto insostenibile.

In conclusione, Hiedra affronta temi importanti e necessari, ma lo fa in modo confuso e poco incisivo. Ne risulta un’opera che, più che coinvolgere, finisce col far sbuffare lo spettatore.

Film ambiguo quello della regista ecuadoriana Ana Cristina Barragán: Hiedra (The Ivy, L’Edera) è una pellicola che, sin dai primi minuti, espone chiaramente le proprie armi, senza celarsi ma anzi gridando al mondo le proprie scelte formali. Dai primi piani sfocatissimi ai dialoghi criptici, il film, in concorso nella sezione Orizzonti dell’82esima Mostra del Cinema di Venezia, restituisce però ben poco, trascinando lo spettatore verso una visione che sfiora il fastidioso.

Azucena, trentenne segnata da un trauma, osserva i ragazzi di una casa famiglia. Tra ferite e legami, si avvicina a Julio, diciassettenne con cui instaura un rapporto ambiguo e incerto.

La narrazione si struttura come un thriller drammatico in cui la regista concentra l’attenzione sul passato di lei e sul presente di lui, tentando di intrecciarli per generare pathos. Il passato di Azucena, infatti, diventa essenziale per comprendere il suo atteggiamento distaccato dalla realtà, tanto da trovare vitalità soltanto in mezzo a ragazzi molto più giovani.

Con Julio instaura un legame peculiare, per lungo tempo volutamente ambiguo: per circa mezz’ora (su novanta complessive) sembra quasi cercare una relazione amorosa con il minorenne, anche se indizi disseminati nella trama lasciano spazio a interpretazioni differenti. Questo elemento rappresenta il punto più stimolante della sceneggiatura.

Tuttavia, i dialoghi risultano rigidi e artificiosi, forse per la scrittura, forse per l’interpretazione, dato che, a parte l’attrice protagonista, il cast non è composto da professionisti. Ne emerge un intreccio di battute che comunica ben poco.

A rendere l’esperienza ancora più snervante è la scelta registica: le inquadrature insistono ossessivamente su primissimi piani e mezzi busti con sfondi sfocati, traducendo visivamente spazi angusti e rapporti mancati. L’intento è chiaro, ma la ripetitività diventa presto insostenibile.

In conclusione, Hiedra affronta temi importanti e necessari, ma lo fa in modo confuso e poco incisivo. Ne risulta un’opera che, più che coinvolgere, finisce col far sbuffare lo spettatore.


Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.

Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.


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