Mona Fastvold si presenta per il secondo anno consecutivo in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Quest’anno lo fa in qualità di regista di un film molto divisivo, scritto insieme al marito Brady Corbet. Già l’anno scorso i due avevano partecipato alla rassegna con una sceneggiatura e con un’opera cinematografica di dimensioni mastodontiche, che in qualche misura può essere accostata a questo Testament of Ann Lee, The Brutalist. Una favola epica, di una donna rivoluzionaria ed energetica, come il film dedicato a lei. Ann Lee nasce a Manchester e, divenuta adolescente, si unisce a un gruppo di quaccheri chiamati Shakers, così denominati perché durante i loro canti e le loro danze “tremano”. In breve tempo, grazie alla sua energia, Ann diventa la guida spirituale della comunità e, dopo una serie di visioni da lei avute, il gruppo inizia a predicare una dottrina fondata sulla castità e sull’austerità.Un dettaglio tutt’altro che trascurabile: la pellicola è un musical, e a mio avviso brillantissimo. Per raccontare le vicende della predicatrice e dei suoi seguaci, Fastvold sceglie infatti proprio questa forma espressiva, riuscendo così a trasmettere allo spettatore l’energia che i fedeli avvertivano durante i balli e le preghiere. Durante la visione delle due ore e un quarto ho avuto l’impressione che a questo racconto, pur estremamente coinvolgente e interessante (anche grazie alle ottime performance dei comprimari) manchi qualcosa. Il film sembra costruito quasi esclusivamente su un livello di comprensione immediato, quello dello svolgimento delle azioni; i sottotesti appaiono scarsi e poco approfonditi, come se fossero lasciati volutamente alla sensibilità dello spettatore, chiamato a interpretare e a elaborare un giudizio personale sull’estremismo religioso di Ann Lee, alla luce del proprio vissuto e del proprio bagaglio culturale. Di per sé, la dottrina shakerista predica ideali in gran parte condivisibili, spesso in contrapposizione con quelli della Chiesa ufficiale. La scelta stessa di raccontare la vicenda di una predicatrice donna rappresenta già una presa di posizione significativa, considerando che all’epoca la figura femminile non aveva alcun ruolo nel clero, se non all’interno degli ordini monastici, circostanza che la stessa Ann richiama a un certo punto della narrazione. Inoltre, la castità (pur nella sua declinazione estrema) assume per lei un valore di uguaglianza: non soltanto davanti a Dio, ma anche tra fratelli e sorelle della comunità. Il tema centrale rimane comunque l’estremismo religioso, che però viene trattato in modo piuttosto superficiale, forse intenzionalmente, per lasciare allo spettatore il compito di riflettere e prendere posizione in base al proprio credo. Alcune criticità emergono comunque, attraverso sequenze che mettono in luce i paradossi della religione shakerista. Il racconto, inoltre, si colloca in un contesto di nazione ancora in formazione: per questo il film si inserisce idealmente nel filone delle narrazioni dedicate agli albori degli Stati Uniti, come dimostra anche il recente The Brutalist. Occorre ora affrontare l’aspetto forse più rilevante di questo film: la sua realizzazione tecnico-artistica. Mona Fastvold costruisce una sorta di favola epica e drammatica, articolata in una sequenza di scene di ballo e di canto in cui la predicatrice ripercorre i momenti cruciali della propria esperienza e le emozioni che attraversano l’epoca storica rappresentata. Girato interamente in 70mm, con una fotografia di grande qualità e una grana molto marcata, il film è stato presentato in Sala Darsena a Venezia in un formato croppato 2,39:1, dunque non nel suo formato nativo. Nonostante ciò, la regista sa valorizzare al meglio le convulsioni coreografiche del gruppo, sostenuta da un montaggio di notevole efficacia. Ciononostante, ogni reparto dell’opera mostra qualche limite o piccola mancanza: trascurabile nel comparto tecnico, più evidente invece nella sceneggiatura. L’elemento che si avvicina maggiormente alla definizione di capolavoro è senza dubbio quello musicale. Le musiche e le canzoni originali sono firmate da Daniel Blumberg, già premiato con l’Oscar alla Miglior Colonna Sonora per The Brutalist. Qui il compositore realizza un lavoro straordinario: una colonna sonora intensa, in costante evoluzione con le vicende della setta. Alla base delle sue scelte si percepisce una ricerca accuratissima di coerenza storica, fusa con suggestioni del gospel americano e, in momenti successivi, con improvvise incursioni metal. Questo elemento innalza l’esperienza in sala, trasformando un film già riuscito (a mio giudizio) in un’opera tecnicamente vicina al capolavoro, capace di coinvolgere profondamente lo spettatore. Un’esperienza davvero da brividi. Il film, tuttavia, sta dividendo fortemente: al Lido la ricezione si è spaccata tra chi lo ha amato visceralmente e chi, al contrario, lo ha trovato insopportabile, arrivando perfino ad abbandonare la sala a proiezione in corso. Eppure, al di là delle divisioni, Mona Fastvold riesce a tessere una tela affascinante: forse non ricchissima di dettagli, ma tracciata con indubbia maestria.

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The Testamento of Ann Lee – Mona Fastvold

Mona Fastvold si presenta per il secondo anno consecutivo in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Quest’anno lo fa in qualità di regista di un film molto divisivo, scritto insieme al marito Brady Corbet. Già l’anno scorso i due avevano partecipato alla rassegna con una sceneggiatura e con un’opera cinematografica di dimensioni mastodontiche, che in qualche misura può essere accostata a questo Testament of Ann Lee, The Brutalist. Una favola epica, di una donna rivoluzionaria ed energetica, come il film dedicato a lei. Ann Lee nasce a Manchester e, divenuta adolescente, si unisce a un gruppo di quaccheri chiamati Shakers, così denominati perché durante i loro canti e le loro danze “tremano”. In breve tempo, grazie alla sua energia, Ann diventa la guida spirituale della comunità e, dopo una serie di visioni da lei avute, il gruppo inizia a predicare una dottrina fondata sulla castità e sull’austerità.Un dettaglio tutt’altro che trascurabile: la pellicola è un musical, e a mio avviso brillantissimo. Per raccontare le vicende della predicatrice e dei suoi seguaci, Fastvold sceglie infatti proprio questa forma espressiva, riuscendo così a trasmettere allo spettatore l’energia che i fedeli avvertivano durante i balli e le preghiere. Durante la visione delle due ore e un quarto ho avuto l’impressione che a questo racconto, pur estremamente coinvolgente e interessante (anche grazie alle ottime performance dei comprimari) manchi qualcosa. Il film sembra costruito quasi esclusivamente su un livello di comprensione immediato, quello dello svolgimento delle azioni; i sottotesti appaiono scarsi e poco approfonditi, come se fossero lasciati volutamente alla sensibilità dello spettatore, chiamato a interpretare e a elaborare un giudizio personale sull’estremismo religioso di Ann Lee, alla luce del proprio vissuto e del proprio bagaglio culturale. Di per sé, la dottrina shakerista predica ideali in gran parte condivisibili, spesso in contrapposizione con quelli della Chiesa ufficiale. La scelta stessa di raccontare la vicenda di una predicatrice donna rappresenta già una presa di posizione significativa, considerando che all’epoca la figura femminile non aveva alcun ruolo nel clero, se non all’interno degli ordini monastici, circostanza che la stessa Ann richiama a un certo punto della narrazione. Inoltre, la castità (pur nella sua declinazione estrema) assume per lei un valore di uguaglianza: non soltanto davanti a Dio, ma anche tra fratelli e sorelle della comunità. Il tema centrale rimane comunque l’estremismo religioso, che però viene trattato in modo piuttosto superficiale, forse intenzionalmente, per lasciare allo spettatore il compito di riflettere e prendere posizione in base al proprio credo. Alcune criticità emergono comunque, attraverso sequenze che mettono in luce i paradossi della religione shakerista. Il racconto, inoltre, si colloca in un contesto di nazione ancora in formazione: per questo il film si inserisce idealmente nel filone delle narrazioni dedicate agli albori degli Stati Uniti, come dimostra anche il recente The Brutalist. Occorre ora affrontare l’aspetto forse più rilevante di questo film: la sua realizzazione tecnico-artistica. Mona Fastvold costruisce una sorta di favola epica e drammatica, articolata in una sequenza di scene di ballo e di canto in cui la predicatrice ripercorre i momenti cruciali della propria esperienza e le emozioni che attraversano l’epoca storica rappresentata. Girato interamente in 70mm, con una fotografia di grande qualità e una grana molto marcata, il film è stato presentato in Sala Darsena a Venezia in un formato croppato 2,39:1, dunque non nel suo formato nativo. Nonostante ciò, la regista sa valorizzare al meglio le convulsioni coreografiche del gruppo, sostenuta da un montaggio di notevole efficacia. Ciononostante, ogni reparto dell’opera mostra qualche limite o piccola mancanza: trascurabile nel comparto tecnico, più evidente invece nella sceneggiatura. L’elemento che si avvicina maggiormente alla definizione di capolavoro è senza dubbio quello musicale. Le musiche e le canzoni originali sono firmate da Daniel Blumberg, già premiato con l’Oscar alla Miglior Colonna Sonora per The Brutalist. Qui il compositore realizza un lavoro straordinario: una colonna sonora intensa, in costante evoluzione con le vicende della setta. Alla base delle sue scelte si percepisce una ricerca accuratissima di coerenza storica, fusa con suggestioni del gospel americano e, in momenti successivi, con improvvise incursioni metal. Questo elemento innalza l’esperienza in sala, trasformando un film già riuscito (a mio giudizio) in un’opera tecnicamente vicina al capolavoro, capace di coinvolgere profondamente lo spettatore. Un’esperienza davvero da brividi. Il film, tuttavia, sta dividendo fortemente: al Lido la ricezione si è spaccata tra chi lo ha amato visceralmente e chi, al contrario, lo ha trovato insopportabile, arrivando perfino ad abbandonare la sala a proiezione in corso. Eppure, al di là delle divisioni, Mona Fastvold riesce a tessere una tela affascinante: forse non ricchissima di dettagli, ma tracciata con indubbia maestria.

Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.
Il cinema mi accompagna praticamente da sempre: da bambino passavo ore a guardare film e a immaginare storie, oggi ho trasformato quella passione in una professione. Laureato in Arte e Tecnologia del Cinema e dell’Audiovisivo con specializzazione in Suono, e adoro tutto ciò che riguarda il dietro le quinte di un film, dai rumori più impercettibili alle colonne sonore che restano nella memoria. Per farla breve: se c’è una sala buia e uno schermo acceso, probabilmente ci sono anch’io.





