Non avrei mai immaginato di assistere, il 5 settembre (penultimo giorno della 82ª Mostra del Cinema di Venezia), a uno dei film migliori di questa edizione, presentato nella Settimana Internazionale della Critica: 100 Nights of Hero. Tratto dall’omonimo fumetto e diretto da Julia Jackman, è un autentico gioiello, proiettato in una Sala Perla che lo ha accolto con un calore raro in dieci giorni di festival.
La storia ruota intorno a Cherry, intrappolata a Darkly End, mondo dominato dal dispotico Birdman. Infelice accanto al marito Jerome, trova sostegno in Hero, la cameriera appartenente a una società segreta. Divisa tra i sospetti verso Manfred e i sentimenti proibiti per Hero, Cherry è destinata a sfidare i propri obblighi. A partire da questa premessa (tratta dalla graphic novel di Isabel Greenberg) Jackman costruisce un’opera irriverente e intelligente: l’immaginario di Darkly End è brillante e ironico, mentre il nucleo tematico affonda le radici in una società rigidamente patriarcale, che riduce la donna a semplice strumento di riproduzione.
La mitologia del film parte dall’origine stessa dell’universo: Kiddo, la dea creatrice, viene ripudiata dal padre, incapace di accettare che la figlia abbia plasmato un mondo quasi perfetto. Da qui scaturisce la nascita dei ruoli sociali: gli uomini al comando, le donne relegate a filare e generare figli. Questo messaggio, volutamente semplicissimo, è veicolato con pungente ironia attraverso dialoghi intrisi di imbarazzo riflesso. La narrazione si regge infatti sulla satira, che attraverso immagini volutamente esagerate (ma mai fuori fuoco) ridicolizza un genere maschile ottuso, orgoglioso ed egoista; al contrario, le figure femminili emergono fin dall’inizio come rivoluzionarie, portatrici di valori positivi ed in generale “eroiche”.
Emblematica è Hero, l’ancella coprotagonista interpretata da una impeccabile Emma Corrin, custode del compito di scrivere e tramandare storie in un mondo che vieta alle donne di leggere e scrivere. Grazie alla conoscenza, Hero riesce progressivamente a liberare Cherry (interpretata da Maika Monroe) dalla condizione di moglie devota e donna asservita. Tra le due nasce un legame che supera l’amicizia, trasformandosi in una forza capace di intaccare le radici stesse del sistema, grazie all’amore e alla potenza del racconto.
Il film conquista proprio per questo messaggio profondamente positivo, capace di infondere speranza e strappare un sorriso genuino. L’unione di un’estetica camp perfettamente calibrata con una trama così particolare dà vita a una pellicola memorabile, che fa innamorare degli stessi personaggi secondari (sì, persino delle guardie).
Si potrebbe obiettare che il film sia limitato da un budget modesto, percepibile soprattutto nel comparto tecnico. Eppure, a mio avviso, non vale la pena soffermarsi su questo aspetto: di fronte a un’opera tanto leggera quanto incisiva, si possono perdonare fotografia e montaggio imperfetti. Anche perché, se non si apprezza questo tipo di cinema, non ci si diverte affatto.







